E' morto Gianfranco
Resega, figlio di Aldo Resega federale fascista di Milano ucciso nel 1943 dai
comunisti. Gianfranco nacque nel gennaio '24 aveva 19 anni quando il padre fu
ucciso e combatté anche nella Repubblica Sociale, tra l'altro, fece anche parte
dei V.A.C, ossia dei reparti specializzati nella controguerrigila contro gli
slavi. Lo conobbi quando mi aiutò a scrivere la prefazione di "Campo 10" L'amico Luca Gallesi mi ha dato la notizia aggiungendo che nel dopoguerra,
Gianfranco Resega, è stato anch un imprenditore di successo, costruendo e
mantenendo legami anche lavorativi coi camerati della Repubblica Sociale. Nel
1995 è stato tra i fondatori dell'Associazione il Testimone, che per alcuni
anni ha svolto, soprattutto grazie all'Assessore Marzio Tremaglia, una preziosa
attività di ricerca storica.
I funerali si terranno giovedì alle ore 11 presso la Chiesa di San Francesco da Paola in via Pisacane a Milano. Guido Giraudo - http://aldoresega.blogspot.it/
I funerali si terranno giovedì alle ore 11 presso la Chiesa di San Francesco da Paola in via Pisacane a Milano. Guido Giraudo - http://aldoresega.blogspot.it/
Un articolo a lui dedicato
http://www.ilgiornale.it/news/mio-padre-giustiziato-dai-gappisti-su-ordine-pci.html
http://www.ilgiornale.it/news/
«Mio padre, giustiziato dai
gappisti su ordine del Pci»
La guerra civile, dall’8 settembre del ’43 alle settimane successive il 25 aprile del ’45,
lasciò dietro di sé morti di entrambe le parti. Partigiani, fascisti,
repubblichini, gappisti, civili: rimasti vittime di imboscate, attentati,
esecuzioni sommarie, vendette. E Milano, in questo, non si tirò indietro. «Fu
una stagione drammatica, per tutti. Che
esplose all’improvviso, bagnando la
città di sangue e lacrime». Gianfranco Resega, che oggi ha 84 anni, versò l’uno
e le altre. Suo padre, il federale Aldo Resega, capo del fascismo di Milano, fu
ucciso davanti a casa, e lui stesso rischiò
la pelle più di una volta. «Nel ’43
avevo 21 anni. Mio padre pochi giorni dopo l’8 settembre, appena firmato
l’armistizio e contemporaneamente all’insediamento all’Hotel Regina del comando
della Gestapo, costituì la sezione milanese del Partito fascista repubblicano. In quel momento la città era tranquilla
e papà si accordò con il comando tedesco per mantenere la popolazione in uno
stato di normalità, frenando gli eccessi degli squadristi e impedendo
rappresaglie contro i partigiani». Fu la stessa direzione del Partito comunista a ordinare l’eliminazione di Aldo Resega, in quanto personaggio
moderato che di fatto ostacolava lo scoppio della guerra civile: fu ucciso da
un commando dei Gap la mattina del 18 dicembre 1943. «Fu uno dei primi atti
importanti da parte dei partigiani che
volevano trascinare Milano nel caos. Dopo la morte di mio padre cominciarono
davvero i guai, per tutti. Papà, che oltre che essere federale era all’epoca dirigente di un’azienda che produceva gomme,
tutte le mattine prendeva il tram per andare
a lavorare. Anche quel giorno uscì da casa, in via Bronzetti. Lo aspettavano in
quattro. Uno, che lo conosceva di vista, diede il segnale. Un altro faceva da
palo. Gli altri due spararono. Quattro colpi». Gianfranco Resega in quel momento era in caserma, ufficiale della Guardia
nazionale repubblicana, a qualche centinaia di metri dal luogo dove era appena
morto suo padre. «Ero in servizio. Mi hanno telefonato, andai subito a casa...
il corpo era ancora per terra... Non seppi subito chi l’aveva ucciso. Lo
scoprii tempo dopo: sull’Unità,
nell’aprile del ’48, uno di quei gappisti raccontò come avevano preparato
l’attento. Diceva che lo avevano aspettato altre volte, ma avevano rinunciato
all’ultimo momento perché c’ero anch’io, che sapevano ero sempre armato. Papà invece usciva in borghese, senza
pistola». Gianfranco Resega visse a Milano, fra attentati e rappresaglie, fino alla
Liberazione. «Lasciai la città il 26 aprile, all’entrata
degli americani. Ripiegammo su Como. Dopo, successe di tutto, ci furono molti morti, molta rabbia. Bastava che uno
indossasse la divisa e veniva ammazzato sul posto. E molti andavano a prenderli
a casa. Tornai a Milano dopo un anno». Proprio poco dopo l’esecuzione del capitano Giovanni Folchi. Come lui, un
ragazzo di Salò.
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