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venerdì 31 agosto 2012
mercoledì 29 agosto 2012
Milano: conferenza del Prof. Alberto Mariantoni.
La S.V. Illustrissima
è invitata alla presentazione del libro di
Alberto B. Mariantoni
« Le storture del male assoluto »
I “crimini” fascisti che hanno fatto grande l’Italia
Herald Editore – Roma
Giovedì 13 Settembre 2012 – ore 17:30
Presso la Libreria Ritter
Via Maiocchi 28 (angolo Viale Abruzzi), Milano
Mezzi pubblici: Linea 92; Linea 60
Tram (a circa 300 metri): N. 23; N. 33; N. 11
Metropolitana Rossa (MM1) – a circa 500 metri – Fermata Lima
domenica 26 agosto 2012
JUNIO VALERIO BORGHESE
26 Agosto 1974 – In ricordo di Junio Valerio Borghese
Nacque in una delle famiglie più blasonate della nobiltà capitolina il 6 giugno del 1906 ad Artena in provincia di Roma. Di antiche origini senesi , con tre cardinali, un Papa e la sorella di Napoleone Bonaparte fra i suoi rami araldici. Visse nei primi anni di vita in viaggio fra l’Italia e le principali capitali estere, soggiornando in Cina, Egitto, Spagna, Francia e Gran Bretagna. In Italia trascorse per lo più il suo tempo a Roma e ai Castelli Romani. Sposò a Firenze, il 30 settembre del 1931, la russa contessa Olsoufiev Schouvalov, da cui ebbe quattro figli. Attratto dalla vita militare, nel 1922 venne ammesso ai corsi della Regia Accademia Navale, dalla quale uscì nel 1928 con il grado di guardiamarina; dovette comunque attendere quasi un anno per avere il suo primo imbarco, sull’incrociatore Trento. Nel 1930 venne promosso sottotenente di vascello e imbarcato su una delle torpediniere operanti in Adriatico. L’anno successivo frequentò il corso superiore dell’Accademia Navale, e nel 1932 venne trasferito ai sommergibili. Dopo aver frequentato il corso di armi subacquee, nel 1933, promosso Tenente di vascello, venne imbarcato dapprima sulla Colombo, quindi sulla Titano. Nonostante avesse nel frattempo conseguito i brevetti di palombaro normale e di grande profondità, fu solo nel 1935 che ricevette il primo incarico di sommergibilista, partecipando alla guerra d’Etiopia, dapprima imbarcato a bordo del sommergibile Tricheco, successivamente del Finzi. Nel 1937 assunse, infine, il primo comando. Con il sommergibile Iride prese parte alla guerra civile spagnola. In quell’occasione il sommergibile fece parte ufficialmente della flotta nazionale spagnola. In seguito all’esperienza della guerra civile spagnola venne decorato l’8 aprile del 1939 della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per l’elevato spirito offensivo e le solide qualità professionali dimostrate nel corso delle operazioni. Trasferito successivamente presso la base di Lero, nel Dodecaneso, vi rimase fino all’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno del 1940. Nelle prime fasi del conflitto, come Comandante del sommergibile Vittor Pisani, prese parte alla battaglia di Punta Stilo e a una serie di falliti tentativi di forzare il porto di Gibilterra, tra il settembre e l’ottobre del 1940. Promosso Capitano di corvetta, nel 1941 venne designato alla Decima Flottiglia Mas, dove assunse gli incarichi di Comandante del sommergibile Scirè e di capo del reparto subacqueo. Anche con il suo contributo vennero pianificati e realizzati i progetti per il forzamento delle rade di Gibilterra e Alessandria, per questo nominato Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia. In seguito alla prima riuscita azione su Gibilterra, il 2 gennaio del 1941 gli viene conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Immediatamente dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, Junio Valerio Borghese, costituì un reparto di volontari denominato Decima Mas, riuscendo a concludere, il 14 settembre, un accordo con Max Berninghaus, comandante navale delle forze del Terzo Reich in Liguria, con il quale la neonata flottiglia venne riconosciuta quale unità combattente con piena autonomia in campo logistico, organico, della giustizia, disciplinare e amministrativo e battente bandiera italiana. Alla nascita, pochi giorni dopo, della Repubblica Sociale Italiana, la Decima Mas fu inserita nell’organico della Marina Nazionale Repubblicana, sebbene essa agisse di fatto in maniera del tutto autonoma. Nonostante i contrasti con i vertici politici e militare della Repubblica Sociale Italiana, le sue forze furono impegnate su tutti i fronti più importanti, a partire da quello di Anzio e di Nettuno. Il regolamento della Decima Mas prevedeva la totale uguaglianza fra ufficiali e truppa, promozioni guadagnate solo sul campo, pena di morte per i Marò colpevoli di furto, saccheggio, diserzione o vigliaccheria di fronte al nemico. I militari della Decima Mas furono tutti volontari, provenienti dalle più diverse armi delle Forze Armate Repubblicane. Non si registrò mai un calo del numero di volontari e infatti si costituirono numerosi corpi di fanteria di marina, il tutto anche in virtù della popolarità che Junio Valerio Borghese riscuoteva fra le masse. L’attività della Decima Mas non si limitò alle incursioni navali contro le forze nemiche, ma si estese alla costituzione di reparti di terra che assunsero al termine del conflitto le dimensioni di una vera e propria divisione di fanteria leggera. Tuttavia a causa dell’opposizione tedesca la Divisione Decima Mas non poté mai entrare in azione come unità organica, ma fu frazionata in battaglioni usati dai comandi tedeschi sul fronte della Linea Gotica e poi del Senio. Una parte della Divisione era pronto per muovere sul confine orientale, per difendere Trieste e Fiume dall’avanzata degli jugoslavi, ma fu bloccato prima dai tedeschi e poi dalla svolta rappresentata dalla Liberazione nell’aprile del 1945. A partire dal 1944 la Decima Mas fu impiegata anche in attività antipartigiane e rastrellamenti di civili nelle zone dove agivano i partigiani. Gli ultimi reparti della divisione, decimati dagli attacchi inglesi, si arresero a nord di Schio, in Veneto, il 2 maggio del 1945. Al termine del conflitto, dopo lo scioglimento formale della Decima Mas il 26 aprile del 1945 in piazzale Fiume a Milano, Junio Valerio Borghese fu preso in consegna dalla polizia partigiana. In seguito, l’11 maggio fu trasferito a Roma, dove trascorse un breve periodo prima di essere ufficialmente arrestato dalle autorità americane il 19 maggio per essere trasferito nel carcere di Cinecittà. Rilasciato in ottobre, venne nuovamente arrestato dalle autorità italiane e trasferito da un luogo di detenzione all’altro, in attesa dell’inizio del processo. Il 17 febbraio del 1949, ritenuto colpevole solo del reato di collaborazionismo con i tedeschi, venne formalmente condannato a dodici anni di detenzione ma, in seguito all’applicazione di una serie di condoni e riduzioni di pena, fu subito scarcerato. Nel dopoguerra Junio Valerio Borghese aderì al Movimento Sociale Italiano, di cui fu nominato presidente onorario nel 1951. Inizialmente appoggiò Giorgio Almirante, poi abbandonò il partito, che giudicava troppo debole, si avvicinò alla destra extraparlamentare e nel settembre del 1968 fondò il Fronte Nazionale. Intanto nel 1963, aveva ottenuto l’incarico puramente onorario di presidente del Banco di Credito Commerciale e Industriale. Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970 promosse un colpo di stato, avviato e poi interrotto, con la collaborazione di altri dirigenti del Fronte Nazionale, paramilitari appartenenti a formazioni dell’estrema destra e di numerosi alti ufficiali delle forze armate e funzionari ministeriali. In seguito al fallimento del golpe, Junio Valerio Borghese si rifugiò in Spagna dove, non fidandosi della giustizia italiana che nel 1973 revocò l’ordine di cattura, rimase fino alla morte, avvenuta in circostanze sospette a Cadice, il 26 agosto del 1974. Lo stesso anno Junio Valerio Borghese era stato in Cile con Stefano Delle Chiaie, per incontrare il Generale Augusto Pinochet e il capo della polizia segreta cilena, Jorge Carrasco. Fu sepolto nella cappella di famiglia, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma.
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ETTORE MUTI
24 Agosto 1943 – In ricordo di Ettore Muti.
Nacque a Ravenna il 22 maggio del 1902, figlio di una casalinga e di un impiegato dell’anagrafe, all’età di tredici fu espulso da tutte le scuole del Regno per aver colpito a pugni un professore. Non si scompone molto per questa sanzione ed a quattordici anni fuggì di casa per arruolarsi come volontario nella Prima Guerra Mondiale, ma i carabinieri lo respinsero. L’anno seguente ritentò, riuscendo ad entrare negli Arditi.
Al fronte si distinse per l’audacia e le imprese spericolate compiute. Si rese famoso quando il reparto di ottocento uomini al quale apparteneva fu mandato a formare una testa di ponte sulla riva di un fiume da attraversare, il gruppo riuscì nell’impresa ma, all’arrivo dei rinforzi, degli ottocento uomini iniziali rimasero soltanto ventitre, tra i quali Ettore Muti. Fu perciò proposto per la Medaglia d’Oro al Valor Militare, ma Ettore Muti rifiutò poiché sotto falso nome in quanto minorenne. I superiori insospettiti lo rispediranno a casa dopo averne verificato la vera identità. Gabriele D’Annunzio coniò per lui l’appellativo di «Gim dagli occhi verdi» durante l’Impresa di Fiume, alla quale Ettore Muti partecipò con entusiasmo. Durante l’esperienza fiumana incontrò Benito Mussolini, del quale rimane subito affascinato. Rientrato da Fiume, Ettore Muti entrò a far parte dei Fasci di Combattimento, comandando diverse azioni e subendo alcuni arresti. Il 29 ottobre del 1922 fu alla testa dei fascisti che occuparono la Prefettura di Ravenna, durante le operazioni svoltesi sul territorio nazionale contemporaneamente alla Marcia su Roma. Con l’istituzionalizzazione delle squadre d’azione, Ettore Muti iniziò la carriera nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, corpo creato per inquadrare le squadre fasciste. Nel 1923 fu comandante della coorte di Ravenna e nel 1925 divenne Console. La sua vita fu sempre spensierata ed irrequieta: organizzava feste, frequentava belle donne, guidava auto sportive, sfrecciava con la sua Harley Davidson nelle campagne romagnole e romane. Nel settembre 1926 si sposò con Fernanda Mazzotti, figlia di un banchiere. Nel 1929 nacque l’unica figlia, Diana. Il 13 settembre del 1927 Ettore Muti subì un attentato nella piazza principale di Ravenna. Un bracciante, Lorenzo Massaroli, gli sparò due volte al braccio e all’inguine. L’attentatore fu ucciso sul posto dal federale Renzo Morigi. Dopo una degenza in ospedale, Ettore Muti, fu trasferito a Trieste dove comandò la terza legione della milizia portuale e conobbe il Duca Amedeo d’Aosta, che lo convinse ad entrare nella neonata Regia Aeronautica. Non integrandosi perfettamente a Trieste ed entusiasmatosi per la nuova avventura, accettò l’offerta di buon grado. L’arma azzurra fu la svolta decisiva. Ettore Muti si appassionò subito del volo e, pur di entrare in aeronautica, accettò il declassamento al grado di Tenente. Durante la guerra d’Etiopia si mise subito in luce, nonostante l’assenza di aviazione avversaria, ricevendo due Medaglie d’Argento. Nelle fasi finali del conflitto entrò nella squadriglia Disperata con Galeazzo Ciano, Roberto Farinacci ed Alessandro Pavolini. Nel 1936 tornò in Italia accolto da eroe, ma partì nuovamente poco dopo per partecipare, con lo pseudonimo di “Gim Valeri”, alla Guerra di Spagna. Nel conflitto guidò la sua squadriglia bombardando i porti delle città controllate dai repubblicani. Per queste missioni fu decorato con varie Medaglie d’Argento e, nel 1938, con una Medaglia d’Oro. Dalla Spagna tornò con il soprannome di battaglia di “Cid alato” e con l’ulteriore onorificenza dell’Ordine Militare di Savoia. Nel 1939 partecipò all’Invasione dell’Albania al comando di truppe motorizzate e lì, nonostante la scarsa opposizione, ricevette un’altra Medaglia che ottenendo la definizione di “il più bel petto d’Italia”. Tornato dall’Albania, divenne, su proposta di Galeazzo Ciano, Segretario del Partito Nazionale Fascista. In quella veste, pur godendo di grandi poteri, non si trovò a suo agio e fu inviato al fronte con il grado di Tenente Colonnello. Combatté prima in Francia e poi nei cieli d’Inghilterra con grande valore. Nell’estate del 1943 entrò nel piccolo Servizio Informazioni Aeronautica, un servizio segreto militare interno all’arma. Il 25 luglio, giorno della caduta di Benito Mussolini, Ettore Muti si trovava in Spagna per cercare di recuperare per conto del Servizio Informazioni Aeronautica un radar da un aereo americano precipitato. Rientrò a Roma il 27 luglio per ritirarsi in una villetta presa in affitto a Fregene, in via della Palombina dodici. Il 10 agosto un rapporto dei carabinieri inviato a Badoglio indicava in Ettore Muti il comandante o almeno uno dei partecipanti ad un progetto di insurrezione per la restituzione a Benito Mussolini della guida della nazione. La notte tra il 23 e il 24 agosto del 1943 il Tenente dei carabinieri Taddei si presentò presso la dimora Muti con una decina di uomini per l’arresto. Durante il trasporto in caserma, dal bosco furono sparati alcuni colpi di fucile colpendo a morte proprio Ettore Muti. L’episodio non fu mai chiarito e nemmeno chi sparò. Cosa strana l’unico ad essere raggiunto dai colpi fu Ettore Muti, il cui berretto, recuperato dalla famiglia, recava due fori di proiettile sparati a distanza ravvicinata: uno sulla parte posteriore, in corrispondenza della nuca, l’altro davanti, che attraversa la visiera. Diverse altre circostanze confermarono la tesi dell’esecuzione politica del personaggio scomodo, definito da Badoglio “una minaccia” in una lettera spedita poco prima, il 20 agosto del 1943, al Capo della Polizia Carmine Senise. Badoglio ammise di aver scritto il biglietto, ma sostenne che non fu mai recapitato. Dopo l’armistizio la figura di Ettore Muti fu ampiamente celebrata nella Repubblica Sociale Italiana e a lui furono intitolate: la Squadra di Bombardamento Ettore Muti, reparto dell’Aviazione Nazionale Repubblicana, che effettuò solo una limitata attività addestrativa; il battaglione Ettore Muti della Brigata Nera Mobile Achille Corrao, nel ravennate e infine la Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, corpo costituitosi a Milano il 14 settembre del 1943 e impegnato principalmente in attività di repressione della Resistenza partigiana. Fu seppellito nel cimitero di Ravenna. Ancora oggi Ettore Muti detiene il record mondiale di ore di volo in guerra e quello italiano per le medaglie conquistate in azioni di guerra.
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giovedì 26 luglio 2012
Storia degli Arditi d'Italia.
Breve storia degli Arditi
e dei Reparti d’assalto italiani
nella Grande Guerra
di Andrea Carlucci
Io li vidi dunque per la prima volta una notte del settembre 1917, sul San Gabriele.
Fiamme al bavero, giubba aperta, maglione col teschio, tascone pieno di petardi, un pugnaletto affilato, un piccolo corpo muscoloso di belva, due occhi neri e decisi, poche parole.
…quello stuolo di demoni scatenati, fieri ed intrepidi, che venivano ad assaltare il truce nemico nei suoi insidiosi rifugi-labirinti, fece l’effetto di una ventata di liberazione: …
…. Il loro assalto fu breve, improvviso, silenzioso, velocissimo. Senza fuoco d’artiglieria, senza allarmi, dopo un rapido scambio di ordini a bassa voce, come un gruppo di congiurati densi di distruzione, ognuno mosse alla sua meta; strisciò, balzo, colpì con una fulmineità, che non fece udire neppure il gemito delle vittime. Poi, nel mattino pallidissimo, insonne, febbrile, davanti alle caverne del “fortino” in cui era annidata una resistenza infernale, guizzarono i mostruosi lanciafiamme, irresistibili serpenti incandescenti che raggiungevano il nemico nei suoi recessi gli impedivano di usare le sue armi.
L’azione degli arditi aveva del miracoloso, per la precisione, il silenzio, la sicurezza con cui era condotta.
Non uno restava indietro. Il comandante (sempre un bel tipo di scavezzacollo) in testa, poteva avanzare tranquillo, perché i suoi uomini lo seguivano tutti, con una meccanica infallibile in cui ognuno era assegnato il suo piccolo settore di lotta, il suo austriaco da colpire.
E l’azione riusciva sempre, alla perfezione.
(tratto da ARDITISMO, Roma 1929)
Esploratori e tagliafili
Nel 1914, nell’ottica dell’adeguamento alle nuove dottrine belliche sviluppatesi a partire dalle campagne coloniali, furono creati in ogni reggimento della regia fanteria dei reparti di Esploratori, destinati a compiere azioni di sorpresa contro gli avamposti e dietro le prime linee del nemico,
Ma la guerra di trincea stravolse il concetto bellico della guerra di manovra e schieramento in campo aperto ed i reticolati posti a protezione delle posizioni avversarie, imposero la creazione di reparti organizzati in piccole squadre di guastatori, che si avventuravano nella terra di nessuno i cosiddetti Tagliafili (con riferimento al filo spinato) equipaggiati con elmi d’acciaio e corazze a piastre mod. Farina, Corsi, Orfei, ecc., scudi mod Masera, Degree, ecc., pinze e cesoie (di tutti i tipi), stivaloni in gomma o cuoio, guanti di pelle e ginocchiere metalliche. Sotto l’equipaggiamento era indossata l’uniforme del reparto di appartenenza integrata dalla cuffia protettiva indossata sotto all’elmo mod. Farina o da un passamontagna utilizzato come imbottitura stessa, che dava loro l’aspetto di antichi guerrieri: tali reparti ebbero il nome di Volontari Esploratori o comunemente di Compagnie della Morte forse, secondo alcuni, in riferimento ai cavalieri medievali di Alberto da Giussano contrassegnati da un arme con teschio e tibie su campo nero che si erano distinti a Legnano contro il Barbarossa (1).
Il soldato ardito
Per premiare coloro che si fossero maggiormente distinti per decisione e per coraggio in azione sin dai primi mesi di guerra, il Comando Supremo aveva prescritto ai reggimenti di conferire la qualifica onorifica di Ardito per riunirli all’occorrenza in plotoni speciali, Le prime compagnie di Arditi dunque si costituirono spontaneamente, quando la tattica stava ricercando il modo con cui uscire dalla stasi sanguinosa della guerra di posizione, molto prima che l’avversario austroungarico su imitazione tedesca concepisse le sopravvalutate Stosstrupp.
Così, a mano a mano che si svolgevano le azioni e avvenivano gli episodi nei quali i soldati potevano distinguersi, offrendosi volontari per porre tubi di gelatina o ca.tu.gel nei reticolati avversari, per far parte di pattuglie di ricognizione nella terra di nessuno, per partecipare a qualche audace colpo di mano nelle trincee nemiche.
Ciascuno dei nostri reggimenti poté ben presto fare assegnamento su un nucleo sempre più numeroso di soldati Arditi.
I reparti di assalto
Nell’ottobre 1915, su autorizzazione del Comando Supremo, il Capitano Cristoforo Baseggio costituì sotto il suo comando, in Trentino, nella Valle Sugana, presso Strigno, una compagnia autonoma di Esploratori Arditi, formata da uomini di diversa estrazione,da tutte le regioni d’Italia, in una specie di formazione di volontari di ogni età ed ogni arma legati da spirito volontaristico di stampo risorgimentale L’unità ebbe una forza complessiva di 13 ufficiali, 450 militari di truppa e 120 conducenti e si distinse subito in diverse operazioni di pattugliamento e in colpi di mano come in quello attuato a Sant’Osvaldo, il 6 aprile 1917, dove si lasciaro sul campo 190 avversari caduti.
Ma la costituzione effettiva della nuova Specialità della Fanteria italiana è rappresentata dalla Circolare del Comando Supremo datata 14 marzo 1917, nella quale si illustrano le caratteristiche delle Stosstrupp austro-ungariche al fine di stimolare la nascita di analoghe unità in campo italiano, ma va sottolineato che i Reparti d’assalto che da allora iniziarono a nascere avevano caratteristiche di indubbia originalità, infatti i Reparti d’assalto nacquero e si svilupparono come corpo a sé stante, differenziato dalla Fanteria, caratterizzandosi da uno spirito di corpo elevatissimo che ne esaltava le possibilità di sfruttamento. Diversamente i cosidetti Arditi reggimentali si potevano raffrontare alle Sturmtruppen come impostazione generale ovvero come unità d’urto interna combattenti del reparto di appartenenza. Truppe con le quali ovviare all’insufficiente addestramento della massa nei momenti critici del combattimento, ma prive del ruolo autonomo tipico dei Reparti d’assalto.
L’uniforme di questo nuovo combattente era costituita da giubba aperta da bersagliere ciclista, con fiamme nere sul bavero e maglione grigio verde (o di colore nero) a collo rovesciato al posto del colletto chiuso (poi sostituito da una camicia di flanella col colletto rovesciato), fez come quello dei bersaglieri a fiocco breve e di colore nero e pantaloni per truppe alpine mod.1909, fasce mollettiere frequentemente sostituita da calze di lana; mentre l’equipaggiamento era rappresentato da: elmetto, giberne, mantellina e tascapane.
Il distintivo della specialità veniva applicato secondo il regolamento al braccio sinistro della giacca ma metà tra la spalla ed il gomito. In alcuni casi si rileva la posizione sul braccio destro o addirittura sul copricapo.
Si trattava di un filo nero su stoffa grigioverde composto da un gladio romano munito di un pomo a testa di leone con il motto sabaudo FERT sull’elsa il tutto coronato entro un serto d’alloro e quercia.
Le armi di elezione degli Arditi per il combattimento ravvicinato furono rappresentate dal pugnale e dal petardo Thevenot. Quest’ultimo fu scelto dal Bassi perché era una bomba a mano dal limitato effetto di frammentazione ma dal forte scoppio, ideale per l’uso in attacco perché limitava i rischi per l’assaltatore ma provocava panico e scompiglio sul bersaglio.
Inoltre venivano introdotte nei reparti (oltre a pistole, fucili, mitragliatrici e bombe a mano già in uso presso la nostra fanteria) anche rilevanti aliquote di pistole mitragliatrici (modello Fiat Revelli), lanciatorpedini modello Bettica (successivamente sostituiti dai più moderni ma pesanti Stokes), lanciafiamme; nonchè camion (i famosi 18 BL Fiat e modelli simili) per il trasporto delle truppe direttamente sul campo di battaglia.
In seguito succederà che, formandosi reparti d’assalto solo con elementi provenienti dalla specialità, bersaglieri o alpini, questi manterranno le mostrine originarie, cremisi i primi e verdi i secondi, avendo come nuove definizioni rispettivamente quella di fiamme cremisi o fiamme verdi.
Con una circolare del 26 giugno 1917 il Comando Supremo dispose la formazione di "reparti d’assalto" nell’ambito di ognuna delle Armate. La prima a dare riscontro a tale ordine fu la 2^ Armata del Generale Capello, sotto la spinta propulsiva del Generale Grazioli, Comandante della Brigata Lambro, e del Tenente Colonnello Giuseppe Alberto Bassi, Comandante di un battaglione di fanteria che si era già distinto nella ricerca e sperimentazione di nuove tecniche di combattimento. Quest’ultimo, costituì, a Russig, nelle retrovie di Gorizia, una compagnia speciale che nel corso di una dimostrazione ottenne l’ammirato plauso del Generale Capello stesso. Successivamente, dopo una serie di ricognizioni, fu individuata una nuova sede per l’unità, sulla riva destra del Natisone, qui a Sdricca di Manzano, presso Udine il 29 Luglio 1917 nacquero ufficialmente gli Arditi.
Il Capitano Cristoforo Baseggio riuscì, grazie all’appoggio dello Stato Maggiore, a creare una Compagnia che fu chiamata: “Compagnia Esploratori Volontari Baseggio” che è da considerarsi ufficialmente il primo Reparto Autonomo di Arditi di Guerra. Forte di tredici ufficiali, quattrocento graduati e militari di truppa, dotati di due sezioni di mitragliatrici e tatticamente alla diretta dipendenza del Comando di Corpo d’Armata.
Successivamente, quegli uomini che si gettavano nella battaglia con un ardimento da lasciare sbigottiti, furono chiamati Arditi o anche Fiamme Nere (dalle mostrine che portavano sul bavero della divisa).
Le nuove Compagnie della Morte ovvero i reparti d’assalto, attraverso la simbologia della morte (il teschio) condivisa tra l’altro dagli assaltatori austro-ungarici e delle virtù militari romane (il gladio coronato dai serti di fronde) presenti sui fregi e sulle insegne dei reparti.
Fu a Manzano, presso cui era possibile dare il massimo realismo agli addestramenti, che il I° Reparto d’assalto ottenne il battesimo ufficiale il 29 luglio del 1917, alla presenza del Re (la data rimase a celebrare la nascita del Corpo). A Sdricca di Manzano, fu quindi la "culla" della nuova Specialità, l’addestramento era condotto con serietà e spregiudicatezza: molta ginnastica, lotta corpo a corpo con armi e senza, lezioni di lancio di bombe a mano e tiri con fucile, lanciabombe, lanciafiamme e mitragliatrice. L’iter addestrativo culminava con l’assalto ad una collina tipo, che gli Arditi dovevano realisticamente assaltare sotto il fuoco di mitragliatrici e cannoni.
La fama di maestria nell’uso di queste armi, concepite e sviluppate per violente azioni a contatto, conferirono agli Arditi una temuta fama presso le fanterie nemiche, che li temevano più di ogni altro tipo di unità del nostro esercito.
In un secondo, tempo i Reparti d’Assalto ormai inquadrati, dal 10 Giugno del 1918 con nove battaglioni nella Prima Divisione d’Assalto e il 27 Giugno con la Seconda Divisione d’Assalto, erano impiegati nelle azioni più rischiose. Furono in ogni modo i primi a rivoluzionare e a rendere più elastico il concetto della disciplina, soprattutto in funzione del conseguimento di determinati obiettivi e scopi tattici.
Un ulteriore motivo di decisiva differenziazione dalle altre Specialità fu costituito dal livello di motivazione che gli Arditi dovevano esprimere fin dalla loro entrata nel Corpo in quanto il passaggio ai battaglioni d’assalto non poteva avvenire che dietro presentazione di esplicita domanda dell’interessato e una volta accertata l’idoneità del militare, a seguito di un periodo di prova.
E’ significativo osservare lo spirito di corpo che venne così a crearsi generava nell’animo del combattente, il superamento della paura e dell’esitazione sul campo di battaglia, rendendo l’unità di appartenenza un’entità compatta e flessibile.
Tale spirito di corpo fu spesso motivo di sospetto ed invidia da parte degli estranei alla specialità.
I reparti d’assalto furono creati non a integrazione della Fanteria (a differenza di quanto avveniva nelle unità avversarie), della quale si percepiva un insufficiente livello addestrativo nonostante l’impareggiabili prestazioni, quanto in marcata contrapposizione al normale combattente. Pertanto, fu curata la nascita di uno specifico spirito di corpo che sottolineasse l’idoneità degli Arditi ad assolvere ai più difficili compiti della guerra di trincea, offrendo un modello positivo ed attivo di combattente, da contrapporre alla mentalità passiva tipica della guerra di posizione che si era affermata. Per marcare inequivocabilmente tale differenza, agli Arditi furono riservati un diverso trattamento ed anche una diversa divisa. Gli Arditi, infatti, furono esentati dai turni in trincea, ebbero migliore vitto ed alloggio, un soprassoldo e, soprattutto, un regime disciplinare meno rigido e formale.
Dopo la cosiddetta disfatta di Caporetto, la disciplina era allentata anche tra gli Ufficiali e le dotazioni dell’unità erano scarse. Anche sotto il profilo addestrativo la situazione lasciava a desiderare e vi era una marcata carenza di personale. A febbraio, il comando fu assegnato ad un giovane ed energico Ufficiale il maggiore Messe, che rilanciò l’addestramento e ripianò le carenze logistiche. Reimpostò l’addestramento sulla base delle esperienze di Sdricca, mediante molta ginnastica, esercitazioni di tiro ripetute e frequenti, esercitazioni a fuoco con assalti sotto il cosiddetto arco delle traiettorie di tiro. Tale ritmo addestrativo, che provocò un morto, ottenne i risultati voluti, caratterizzando il reparto per una sagace disciplina all’italiana, quasi completamente basata sulla stima e l’affetto per il superiore. Tale reparto cambiò numerazione e, abbandonato il VI, diede vita al IX Reparto d’Assalto che si copri successivamente di gloria sul Grappa nel 1918.
I "caimani del Piave" ed il loro addestramento
Gli atti di eroismo di cui furono protagonisti gli Arditi sono innumerevoli e nella maggior parte leggendari. Sono famosi gli episodi di Arditi (i leggendari Caimani del Piave) che varcarono il Piave a nuoto per andare a neutralizzare gli avamposti nemici sulla sponda opposta, vestiti dei soli calzoncini da bagno, per permettere ad ognuno la maggiore libertà di movimento possibile……
Per la loro formazione al corpo a corpo qualcuno deve essersi ricordato di militari della Marina già destinati in Estremo Oriente negli anni dell’inizio secolo, qualificati esperti di jujutsu o judo, e alcuni di questi, secondo quanto il Comandante dei Caimani Vittorio Tur raccontava agli allievi delle Scuole di Pola nel 1928, dovevano essere stati utilizzati per il particolare addestramento che veniva impartito ai "caimani".
Il nipote di uno di essi, Elio Dessì di Guspini (CA), che ne ha raccolto la testimonianza, ci ha confermato l’effettiva presenza sulla linea del Piave di tali uomini, che armati di solo coltello raggiungevano la sponda avversaria per neutralizzare le postazioni di mitragliatrice: per tali azioni i soldati in particolare quelli di origine sarda, non preferivano utilizzare il pugnale di dotazione essendo difficile aggredire l’avversario alla gola (causa il colletto di stampo ottocentesco dell’uniforme austriaca) pertanto venivano utilizzati modelli regionali (in questo caso il Pattada) che per la forma acuminata che permetteva un efficace risultato nella penetrazione del collo dell’avversario.
Sempre seconda testimonianza il soprannome dell’unità deriverebbe dalla tecnica di nuoto adottata ed ispirata agli alligatori ovvero esponendo dall’acqua, solamente la testa al di sopra delle narici.
Questo per i precursori dei nostri reparti nuotatori.
Una testimonianza assai significativa.
Ernest Heminguay volontario ambulanziere del battaglione dei poeti li conobbe molto bene e ne cantò le gesta in un racconto a lungo rimasto inedito.
Il prof. Cecchin nella sua lunga ricerca sull’opera dello scrittore legata alla Grande Guerra ha raccolto la testimonianza di reduci di reparti americani che affermavano che nella seconda guerra mondiale i metodi di addestramento dei marines erano stati tratti direttamente dai manuali di addestramento degli arditi: infatti fu il XXIII° Reparto d’assalto fiamme cremisi, che aveva addestrato il contingente presente in Italia nel 1918.
Il dopoguerra:
Con Decreto del 5 giugno 1920 (Senza Numero), Vittorio Emanuele III concesse la Croce di Cavaliere dell’ORDINE MILITARE DI SAVOIA all’Arma di Fanteria. In applicazione del citato Decreto il Re autorizzò diversi reggimenti a fregiare delle relative insegne i rispettivi labari e bandiere, tra cui il XXIII° Reparto d’Assalto per sé e per tutti gli altri reparti d’assalto.
Coloro che appartennero alla specialità dal 1917 (anno della fondazione dei Reparti d’Assalto) costituirono la F.N.A.I. (Federazione Nazionale Arditi d’Italia) costituta dopo lo scioglimento dei Reparti d’Assalto (1920), voluta essenzialmente per motivi di politica interna al Regio Esercito, episodio destinato a ripetersi anche nell’immediato secondo dopoguerra.
lunedì 23 luglio 2012
Canto degli Arditi.
CANTO DEGLI ARDITI
Mamma non piangere,
c'è l'avanzata,
tuo figlio è forte,
su in alto il cuor.
Asciuga il pianto
della fidanzata,
che nell'assalto,
si vince o si muor.
Avanti, Ardito!
le FIAMME NERE
son come il simbolo
delle tue schiere,
scavalca i monti,
divora il piano,
pugnal fra i denti,
le bombe a mano!...
L'ardito è bello,
l'ardito è forte
ama le donne
e beve il buon vin;
per le sue fiamme
color di morte
trema il nemico quando è vicin!
Avanti, Ardito!
FIAMME NERE
avanguardia di morte,
siam vessillo di lotte
e do orror,
siamo l'orgoglio
mutato in corte,
per difender d'Italia l'onor.
Avanti, Ardito!
Una stella ci guida: la sorte!
E ci avvincon,
tra fiamme d'amor,
tre parole di Fede
e di morte:
il pugnale,
la bomba ed il cuor!...
Avanti, Ardito!
giovedì 12 luglio 2012
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